Nicola Samorì è nato nel 1977 a Forlì e si è diplomato nel 2004 all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Pittore e scultore, nel suo percorso si evidenzia il tentativo di mettere in pericolo forme derivate dalla storia della cultura occidentale: in esse l’apertura del corpo rappresentato e della superficie pittorica si mostrano senza soluzione di continuità e si ha l’impressione che la nascita di una nuova opera comporti sempre il sacrificio di una antica.
A partire dal 2010 si affacciano nei suoi lavori le prime scorticature del pigmento, processo evidente in tre mostre del 2011: Baroque, LARMgalleri, Copenaghen; Scoriada, Studio Raffaelli, Trento; Imaginifragus, Christian Ehrentraut Gallery, Berlino. L’anno successivo si tiene la sua prima personale in una sede museale: Fegefeuer, Kunsthalle, Tubinga. Con la mostra Die Verwindung, allestita presso Galleria Emilio Mazzoli di Modena nel gennaio 2013, “l’artista ha finito per castigare ciò che aveva composto, giungendo così all’inevitabile e irrinunciabile assassinio della pittura” (Alberto Zanchetta).
Nel 2014 si sono succedute mostre personali e collettive allo Schauwerk di Sindelfingen, al MAC di Lissone, alla Kunsthalle di Kiel e negli interrati palladiani di Palazzo Chiericati a Vicenza. L’anno successivo è selezionato per partecipare alla 56ma Biennale di Venezia, e inserito nel progetto espositivo Codice Italia curato da Vincenzo Trione.
Sempre nel 2015 il TRAFO Centre for Contemporary Art di Stettino gli dedica una vasta monografica dal titolo Religo. Sono del 2016 i progetti personali alla Galleria Monitor di Roma e il primo solo show presso la sede di Lipsia della Galerie EIGEN + ART, a cui segue la partecipazione alla 16° Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma e a Gare de l’Est, Teatro Anatomico di Padova.
Nel 2017 partecipa alla collettiva Art in Art presso il MOCAK di Cracovia e hanno luogo due monografiche al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro e alla Neue Galerie di Gladbeck. Fra il 2017 e il 2018 prende parte alla mostra The New Frontiers of Painting presso la Fondazione Stelline di Milano, dove ritorna nella primavera del 2019 in occasione della mostra The Last Supper after Leonardo. Nel 2018 gli esperimenti con la tecnica dell’affresco condotti nei due anni precedenti confluiscono nella mostra Malafonte alla Galerie EIGEN + ART di Berlino.
A fine 2019 tiene la personale Cannibal Trail, presso il Yu-Hsiu Museum of Art, Caotun (Nantou, Taiwan), la prima in Asia; a inizio 2020 allestisce a Napoli, presso la Fondazione Made in Cloister e il Museo Archeologico, il progetto Black Square e in settembre con la mostra personale In abisso torna nella sede berlinese della Galerie EIGEN + ART. In novembre apre una personale al Museo Mart di Rovereto dedicata alla figura di santa Lucia, una delle immagini-guida degli ultimi anni del suo lavoro.
Sfregi è la prima mostra antologica italiana di Samorì, ospitata nelle sale di Palazzo Fava a Bologna e curata da Alberto Zanchetta e Chiara Stefani. La mostra racconta i vent’anni di carriera attraverso 80 opere in un percorso espositivo pensato e realizzato dallo stesso artista in esclusiva per le sale del Palazzo delle Esposizioni di Genus Bononiae. Musei nella Città di Bologna.
L’esposizione è occasione per Samorì di cimentarsi in un faccia a faccia con l’intera storia dell’arte, e in particolare con l’epoca barocca, articolando un percorso di suggestioni e analogie e innescando una stretta e intensa relazione con i preziosi fregi carracceschi che decorano le pareti del Piano Nobile e con alcune opere individuate all’interno delle collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo, come i suggestivi ritratti di donne cieche di Annibale Carracci, stabilendo una “affinità elettiva”, oltre che con gli spazi, con lo stesso patrimonio del Museo.
Così il Salone Nobile con Il mito di Giasone e Medea accoglie una serie di lavori databili all’ultimo decennio di
attività che sembrano reagire al fregio dei tre Carracci; la sala affrescata da Ludovico raccoglie lavori incentrati sull’ustione del rame e del corpo scarnificato, mentre quella dell’Albani diventa la wunderkammer di Samorì in cui trovano spazio le nature morte realizzate su pietra. La Sala delle Grottesche accoglie Malafonte, affresco monumentale staccato che si incastra perfettamente nello spazio, largo esattamente 380 centimetri, al pari dell’opera, una coincidenza che l’artista ha voluto interpretare come un “benvenuto” da parte di Palazzo Fava.
Nelle sale del secondo piano sono esposti lavori più intimi, di piccolo e medio formato che indagano singoli temi o focus sulle diverse tecniche utilizzate - dall’uso dell’onice e della pietra fino all’accecamento dell’immagine - che permettono al visitatore di abbracciare la vastità della produzione di Samorì e di saggiarne quella ricerca ossessiva e maniacale che lo qualifica come uno degli artisti più interessanti del panorama internazionale contemporaneo.
Sfregi è la prima mostra antologica italiana di Samorì, ospitata nelle sale di Palazzo Fava a Bologna e curata da Alberto Zanchetta e Chiara Stefani. La mostra racconta i vent’anni di carriera attraverso 80 opere in un percorso espositivo pensato e realizzato dallo stesso artista in esclusiva per le sale del Palazzo delle Esposizioni di Genus Bononiae. Musei nella Città di Bologna.
L’esposizione è occasione per Samorì di cimentarsi in un faccia a faccia con l’intera storia dell’arte, e in particolare con l’epoca barocca, articolando un percorso di suggestioni e analogie e innescando una stretta e intensa relazione con i preziosi fregi carracceschi che decorano le pareti del Piano Nobile e con alcune opere individuate all’interno delle collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo, come i suggestivi ritratti di donne cieche di Annibale Carracci, stabilendo una “affinità elettiva”, oltre che con gli spazi, con lo stesso patrimonio del Museo.
Così il Salone Nobile con Il mito di Giasone e Medea accoglie una serie di lavori databili all’ultimo decennio di attività che sembrano reagire al fregio dei tre Carracci; la sala affrescata da Ludovico raccoglie lavori incentrati sull’ustione del rame e del corpo scarnificato, mentre quella dell’Albani diventa la wunderkammer di Samorì in cui trovano spazio le nature morte realizzate su pietra. La Sala delle Grottesche accoglie Malafonte, affresco monumentale staccato che si incastra perfettamente nello spazio, largo esattamente 380 centimetri, al pari dell’opera, una coincidenza che l’artista ha voluto interpretare come un “benvenuto” da parte di Palazzo Fava.
Nelle sale del secondo piano sono esposti lavori più intimi, di piccolo e medio formato che indagano singoli temi o focus sulle diverse tecniche utilizzate - dall’uso dell’onice e della pietra fino all’accecamento dell’immagine - che permettono al visitatore di abbracciare la vastità della produzione di Samorì e di saggiarne quella ricerca ossessiva e maniacale che lo qualifica come uno degli artisti più interessanti del panorama internazionale contemporaneo.
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Foto allestimento Marco Cappelletti